...et noli contristari!

Non aver paura, guarda al futuro con fiduciosa speranza!

Ora et labora et lege et noli contristari!

San Benedetto (Norcia 470?  - Montecassino 546?)

 

Ecco, dunque, il tema ispiratore del programma delle manifestazioni per la prossima festa dei santi Faustino e Giovita. La prima immediata reazione indurrebbe a ritenere anacronistico, rispetto alle urgenze dell’oggi, il modello di vita ispirato ai valori che animarono l’esortazione rivolta ai suoi contemporanei da san Benedetto. L’umanità è in grande ansia per i venti impetuosi di una “guerra mondiale anomala”. La condizione fisica di uomini e donne in vaste zone del pianeta è resa precaria dai gravi effetti di una pandemia che ancora flagella intere comunità. Cresce il numero degli sfiduciati per la congiuntura di un’economia travolta da instabilità e squilibri. Sempre più folta è la schiera di coloro che attoniti osservano le convulsioni del pianeta, in sofferenza per gli effetti dell’insostenibilità di un modello di sviluppo ormai inadeguato. Né rassicura la possibilità di doversi confrontare con le innovative risorse della ricerca avanzata e delle applicazioni tecnologiche, che chiamano l’uomo contemporaneo alla responsabilità di governare la complessità dell’immensamente grande e del piccolo infinitesimale.

Un quadro, dunque, che alimenta il sentimento di un catastrofismo senza orizzonti di speranza, che se letto in prospettiva storica non appare, tuttavia, inedito. Paura e disperazione hanno sconvolto le menti e i cuori di uomini e donne di intere generazioni nel corso dei secoli, travolti da vicende dolorose e gravi tragedie, analoghe a quelle che coinvolsero gli uomini protagonisti dei decenni che caratterizzarono l’avvio del medioevo europeo. Fu un periodo di gravi difficoltà, segnato dal crollo dell’Impero Romano e delle certezze che aveva garantito, dal dilagare della violenza, dal succedersi di carestie e pandemie devastanti.

Ai suoi monaci e agli uomini del suo tempo, immersi in un contesto di crisi tanto drammatica, san Benedetto seppe offrire nel corso di quei decenni una prospettiva e indicare i mezzi per realizzarne gli obiettivi, esortandoli a guardare al futuro con rinnovata speranza.

Invitando a mantenere saldo, nella consapevolezza della propria finitezza, il riferimento a Dio, Benedetto indicava poi la via per superare la fragile precarietà della condizione umana: restituire ad ogni individuo la propria dignità mediante il lavoro, unico vero strumento di autentica promozione personale, eseguito nella consapevolezza di contribuire, bonificando la terra, all’azione creatrice di Dio e concreta conferma, nel suo generare frutti e speranze, alla convinzione antica che ognuno fosse artefice della propria fortuna. A condizione, tuttavia, che nessuno fosse lasciato solo, avendo la certezza che la fatica del lavoro individuale e lo sforzo comunitariamente affrontato avrebbero moltiplicato i frutti da reinvestire nella comunità stessa a beneficio di tutti. E se l’inclusione trovava concreta applicazione già nella famiglia monastica, nella quale a ciascuno dei cui membri, applicando la regola della discretio, l’abate era attento a richiedere di dare secondo le proprie capacità, alla porta del monastero era obbligatoriamente accolto chiunque bussasse, per offrire al povero e al misero un primo soccorso di sopravvivenza e l’occasione per contribuire a rendere “buona” la prospettiva della propria vita.

 

 

Secondo una dinamica che prevedeva di applicare la regola della miglioria, la quale valeva sia verso la realtà materiale produttiva della terra, sia verso l’individualità interiore dei monaci, i quali, attraverso la lettura quotidiana, recuperavano dalla sapienza del passato il necessario a interpretare il presente e “progettare” il futuro. Maturando così quella convinzione, mirabilmente definita e costantemente riproposta dalle menti più illuminate del medioevo, che dipingeva la condizione dei contemporanei rappresentandoli felicemente collocati sulle spalle dei giganti della sapienza del passato.

Dopo lo smarrimento seguito alla pandemia, anche l’uomo contemporaneo sente l’esigenza di guardare al futuro. Avverte tuttavia un senso di inadeguatezza, che potrà superare solo riscoprendo il valore della comune appartenenza e la consapevolezza di poter trovare in sé stesso le motivazioni e le risorse necessarie, anche recuperando dal passato insegnamenti e valori, preziosi per affrontare e risolvere in modo vincente le sfide epocali che si profilano all’orizzonte della post modernità.

Il riferimento è, dunque, alla proposta benedettina, universalmente considerata matrice costitutiva dell’Europa, come testimonia la decisione di san Paolo VI di proclamarlo suo patrono. Ci piace pensare che la decisione del Papa bresciano, particolarmente attento nel suo magistero al mondo del lavoro, sia stata dettata anche dalla constatazione che l’esortazione del santo di Norcia ha connotato nell’arco di oltre tredici secoli la cultura del lavoro, dell’innovazione e della capacità realizzativa in chiave solidale in particolare del mondo bresciano, grazie anche all’aggiornamento e all’arricchimento proposto da san Giovanni Piamarta (Brescia, 1841 - Remedello, 1913). Formando e specializzando i suoi allievi della pianura bresciana, chiamati ad affrontare le sfide impegnative di una travolgente modernità, li esortava, evocando l’insegnamento di san Benedetto, a Fare bene il bene.

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